Caso Provenzano: la Corte Europea condanna l’Italia e si scatena il caos

Quanta confusione sulla sentenza della Corte Europea che condanna l’Italia nel caso Provenzano!

E’ veramente avvilente leggere continuamente titoli, articoli e inevitabili commenti politici su sentenze, che probabilmente nessuno ha letto.

Iniziamo col dire che la Corte Europea, con il provvedimento del 25 ottobre 2018, non ha in alcun modo rilevato eccezioni sull’art. 41 bis dell’ordinamento penitenziario, bensì solo sulla sua specifica applicazione al detenuto Bernardo Provenzano in uno dato periodo e precisamente quello che va dal 23 marzo 2016 alla sua morte.

In sostanza i Giudici di Strasburgo hanno solamente affermato che le condizioni mediche del detenuto Provenzano, gravemente deteriorate, al momento del rinnovo del carcere duro in data 23 marzo 2016 non sono state prese in debito conto (pag. 24 della sentenza “Alla luce delle superiori premesse, la Corte non è persuasa che il Governo abbia dimostrato in modo convincente che, nelle particolari circostanze del presente caso, il rinnovo del 41 bis era giustificato”).

Va inoltre, sottolineato, che la stessa Corte, ritenendo per sé sufficiente e soddisfacente l’aver rilevato la violazione dell’applicazione della norma al momento della sua estensione, ha poi rigettato sia la richiesta risarcitorie di euro 150.000,00 avanzata dai familiari di Provenzano per il danno subito, sia il pagamento degli onorari dell’Avvocato difensore.

Quindi tutta questo clamore è ingiustificato e in alcuni casi montato ad arte per far apparire distante e nemica la Corte Europea.

Il provvedimento non solo è condivisibile, ma estremamente giusto ed equilibrato e ci deve far sentire fieri di far parte di un’Europa che garantisce a tutti i suoi membri il rispetto della convenzione sui diritti dell’uomo.

Avvocato Giorgio DI MICCO

Innaffiare o custodire piante di canapa del figlio è concorso nel reato di detenzione di sostanze stupefacenti

La Suprema Corte con la recentissima sentenza del 7 giugno 2018, sezione IV Penale, ha ancora una volta voluto sottolineare quali siano i labili confini tra il concorso nella detenzione della sostanza stupefacente e la connivenza non punibile.

Il caso portato all’attenzione della Cassazione riguardava la valutazione del comportamento di un genitore relativamente alla coltivazione e alla custodia di piante di canapa indiana.

Appurato che il figlio fosse il responsabile della realizzazione della piantagione, i giudice hanno dovuto valutare se la condotta del padre di recarsi sul posto e rimanervi per ore, nel caso di specie ripreso per mezzo di apparecchi di video sorveglianza, potesse essere qualificata come contributo partecipativo morale e materiale all’illecito.

La sentenza, con il rigetto del ricorso dell’indagato, ha affermato, in linea con i precedenti pronunciamenti, il seguente principio: “in tema di detenzione di sostanze stupefacenti, la distinzione tra connivenza non punibile e concorso nel reato va individuata nel fatto che, mentre la prima postula che l’agente mantenga un comportamento meramente passivo, inidoneo ad apportare alcun contributo alla realizzazione del reato, nel concorso di persona punibile è richiesto, invece un contributo partecipativo – morale o materiale – alla condotta criminosa altrui, caratterizzato, sotto il profilo psicologico, dalla coscienza e volontà di arrecare un contributo concorsuale alla realizzazione dell’evento illecito”, quali sono le attività di irrigazione, cura o custodia della piantagione di canapa indiana.

Avvocato Giorgio Di Micco

Eternit: nessun obbligo di rimozione con la sentenza della Corte di Cassazione N. 15742/17, tranne che in particolari casi

NESSUN OBBLIGO DI RIMOZIONE DELL’ETERNIT MA SOLO DOVERE DI COMUNICARE AGLI ORGANI SANITARI COMPETENTI

Con la sentenza n. 15742 del 23 giugno 2017, la Sezione seconda civile della Cassazione è tornata a ribadire quali siano le prescrizioni contenute nella legge 257 del 1992 e quindi ad affermare “che è vietato la commercializzazione e la utilizzazione di materiali costruttivi in fibrocemento, ma non ha imposto la rimozione generalizzata di tali materiali nelle costruzioni già esistenti al momento della sua entrata in vigore, prevedendo rispetto a tali costruzioni solo l’obbligo dei proprietari degli immobili di comunicazione agli organi sanitari locali la presenza di amianto fioccato o friabile negli edifici e consentendo la conservazione delle strutture preesistenti che impiegano tale materiali a condizioni che essi si trovino in buono stato manutentivo.”

Nel caso sottoposto all’attenzione degli ermellini, i ricorrenti chiedevano, quali acquirenti, la risoluzione di un contratto preliminare di compravendita avente a oggetto un immobile successivamente rivelatosi avere una copertura in eternit.
La Suprema Corte constatato che i giudici di merito avevano accertato che non vi fosse un pericolo attuale dell’amianto, hanno rigettato il ricorso sottolineando che i proprietari hanno obbligo di comunicazione agli organi preposti, ma non di rimozione, se non in determinate condizioni, quali la friabilità e il cattivo stato di manutenzione.

Avvocato Giorgio Di Micco

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