Innaffiare o custodire piante di canapa del figlio è concorso nel reato di detenzione di sostanze stupefacenti

La Suprema Corte con la recentissima sentenza del 7 giugno 2018, sezione IV Penale, ha ancora una volta voluto sottolineare quali siano i labili confini tra il concorso nella detenzione della sostanza stupefacente e la connivenza non punibile.

Il caso portato all’attenzione della Cassazione riguardava la valutazione del comportamento di un genitore relativamente alla coltivazione e alla custodia di piante di canapa indiana.

Appurato che il figlio fosse il responsabile della realizzazione della piantagione, i giudice hanno dovuto valutare se la condotta del padre di recarsi sul posto e rimanervi per ore, nel caso di specie ripreso per mezzo di apparecchi di video sorveglianza, potesse essere qualificata come contributo partecipativo morale e materiale all’illecito.

La sentenza, con il rigetto del ricorso dell’indagato, ha affermato, in linea con i precedenti pronunciamenti, il seguente principio: “in tema di detenzione di sostanze stupefacenti, la distinzione tra connivenza non punibile e concorso nel reato va individuata nel fatto che, mentre la prima postula che l’agente mantenga un comportamento meramente passivo, inidoneo ad apportare alcun contributo alla realizzazione del reato, nel concorso di persona punibile è richiesto, invece un contributo partecipativo – morale o materiale – alla condotta criminosa altrui, caratterizzato, sotto il profilo psicologico, dalla coscienza e volontà di arrecare un contributo concorsuale alla realizzazione dell’evento illecito”, quali sono le attività di irrigazione, cura o custodia della piantagione di canapa indiana.

Avvocato Giorgio Di Micco

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